Amor vincit omnia: se l’anziano genitore è solo generoso, e non prodigo, non va inabilitato

Amor vincit omnia: se l’anziano genitore è solo generoso, e non prodigo, non va inabilitato
31 Gennaio 2017: Amor vincit omnia: se l’anziano genitore è solo generoso, e non prodigo, non va inabilitato 31 Gennaio 2017

Per Cassazione civile, sez. I, 13/01/2017, n. 786 la prodigalità è un'autonoma causa d'inabilitazione che prescinde da una specifica malattia o infermità e che, pertanto, può tradursi anche in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purché ricollegabile a motivi futili.Ne discende che invece un comportamento di tal genere non può costituire ragione d'inabilitazione del suo autore quando risponda a finalità aventi un proprio intrinseco valore, come l'aiuto economico verso persone estranee al nucleo familiare, ma legate da affetto.Non va, pertanto, inabilitato l'anziano genitore che compie atti di prodigalità per affetto e riconoscenza nei confronti delle persone che gli sono vicine e, all'opposto, esclude le figlie che si disinteressano di lui.
  1. I FATTI. Il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda con cui tre figlie, allegando che il loro anziano padre aveva effettuato dismissioni patrimoniali ed ingenti elargizioni in favore di amici, avevano chiesto che ne venisse dichiarata l'inabilitazione per prodigalità ai sensi dell'art. 415, II comma c.c.
La Corte d'appello, adita dal soccombente, accoglieva il gravame, affermando che non erano integrati i presupposti di cui all'art. 415 c.c., in quanto le operazioni poste in essere dallo stesso non manifestavano alcuna tendenza allo sperpero “per incapacità di apprezzare il valore del denaro” o per “frivolezza, vanità od ostentazione”, bensì un sentimento di riconoscenza per le “persone a lui care”.Ad avviso della Corte territoriale le figlie, che da circa un ventennio non si curavano del padre, dal quale si erano allontanate senza più cercarlo, erano spinte da volontà conservative di un patrimonio che, invece, il suo titolare era libero di investire per gratitudine, affetto e riconoscenza verso le persone effettivamente presenti nella sua vita.Le convenute proponevano, quindi, ricorso avanti alla Corte di cassazione.
  1. LA SENTENZA. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso delle figlie, ritenendo infondate le censure che queste avevano proposto nella parte in cui avevano lamentato che la Corte d’appello di Roma avesse escluso la prodigalità del loro anziano padre, in base ad un'erronea ed illogica qualificazione degli esborsi economici qualificandoli come “lucida e consapevole scelta anziché come spesa disordinata”.
La Cassazione non ha accolto l’argomentare delle ricorrenti, secondo le quali la Corte territoriale avrebbe omesso di prendere atto che la vendita di un compendio immobiliare era stata realizzata “in modo frettoloso e dilapidatorio”, ed inoltre la sentenza d’appello avrebbe motivato in modo illogico perché “da un lato riporta la giustificazione economica e da un altro assume una spiegazione diversa, ispirata ad altre ragioni, come la riconoscenza, l'amicizia e la vicinanza affettiva”. La Suprema Corte ha condiviso, invece, l’assunto della Corte d’appello, che aveva escluso la prodigalità dell'uomo sul presupposto che quest’ultima rappresenti autonoma causa d'inabilitazione se ricollegabile a motivi futili, mentre tali non potevano ritenersi sentimenti d'affetto o di riconoscenza, che avevano motivato, in commento, il padre delle ricorrenti: “Del resto la Corte territoriale ha mostrato di aver bene assimilato l'insegnato, tanto autorevole quanto risalente, espresso da questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6805 del 1986) secondo cui la prodigalità, cioè un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare, eccessiva rispetto alle proprie condizioni socio-economiche ed al valore oggettivamente attribuibile al denaro, configura autonoma causa di inabilitazione, ai sensi dell'art. 415 comma 2, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermità, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purché sia ricollegabile a motivi futili (ad esempio, frivolezza, vanità, ostentazione del lusso, disprezzo di coloro che lavorano, dispetto verso vincoli di solidarietà familiare).Ne discende che il suddetto comportamento non può costituire ragione d'inabilitazione del suo autore, quando risponda a finalità aventi un proprio intrinseco valore (nella specie, aiuto economico verso persona estranea al nucleo familiare, ma legata da affetto ed attrazione)”.   Ad avviso della Corte di Cassazione, dunque, ben ha fatto il Giudice di secondo grado a ritenere che le rilevanti dismissioni immobiliari e gli investimenti criticati dalle ricorrenti non manifestavano una tendenza allo sperpero, "per incapacità di apprezzare il valore del denaro" o per "frivolezza, vanità od ostentazione". In particolare, “Il versamento della somma di Euro 120.000,00 alla coppia di amici quale corrispettivo per l'occupazione, vita natural durante, di una parte del loro immobile non sarebbe, al pari dell'acquisto (e ristrutturazione) di un appartamento in favore del figlio G., una circostanza rilevante ai fini della pronuncia di inabilitazione, eventualmente potendo il primo integrare solo "un cattivo affare" ed il secondo un atto lesivo dei diritti successori delle figlie.Neppure integrerebbero quella supposta tendenza allo sperpero le altre condotte ascritte all'inabilitando, quali la contestazione di titoli all'amica ed al figlio, il pagamento di somme in favore della ex moglie o della madre anziana o i rimborsi in favore del fratello.Per quanto egli abbia posto in essere atti economicamente non vantaggiosi lo avrebbe fatto sempre con lucidità e misura … per riconoscenza e per beneficare persone a lui care”.   L'inabilitando poteva, dunque, ritenersi libero di “investire” il proprio patrimonio per gratitudine, affetto e riconoscenza verso coloro che gli erano vicini e che l'avevano aiutato ad affrontare la pregressa disgregazione familiare: “L'accertato stato di fragilità psicologica, causato dalla disintegrazione della propria famiglia, l'avrebbe visto reagire con lucidità, cercando e trovando e valorizzando altri rapporti affettivi (con i due amici e il figlio G., l'unico rimastogli vicino) ...La Corte ha dimostrato che, nel caso in esame, la redistribuzione della propria ricchezza a persone a lui vicine è stata una risposta positiva e costruttiva al naufragio della propria famiglia (salvo il figlio G.): i relativi riconoscimenti hanno seguito questa stessa logica premiale e riconoscitiva”.   La sentenza, insomma, afferma il diritto dell'anziano genitore a disporre del proprio patrimonio per affetto, senza che dall'età avanzata possa farsi derivare una presunzione di “fragilità emotiva” e di vulnerabilità[1].   Al contrario, le figlie avevano tentato di ascrivere le elargizioni del padre proprio ad una sua situazione di fragilità emotiva che, a loro dire, avrebbe dovuto condurre alla sua inabilitazione.   Questo tentativo aveva avuto un antefatto nella presentazione d’una denuncia nei confronti dei destinatari delle elargizioni paterne, ma in costoro si era “vanamente cercato l'approfittamento, come emerso dall'archiviazione della denuncia di circonvenzione di incapace”. Pertanto, l’iniziativa delle ricorrenti, che non vedevano il padre da circa un ventennio, dal quale si erano allontanate senza più cercarlo, mirava in realtà  a finalità conservative del patrimonio del genitore, e non a por rimedio ad una inesistente situazione di fragilità psicologica del medesimo. La sentenza recepisce, dunque, la legittima scelta dell'anziano di privilegiare gli affetti veri, ricompensandoli con elargizioni patrimoniali e, viceversa, di escludere quelle figlie interessate unicamente alla conservazione dell'integrità del patrimonio paterno per tutelare le loro aspettative successorie. Le esigenze affettive dell'anziano vincono sull'avidità dei suoi parenti più prossimi: insomma, amor vincit omnia[2]. [1] Per la problematica afferente all'anziano come soggetto vulnerabile sia consentito il rinvio al quadro sintetico, ma esaustivo tratteggiato da G. BUFFONE, La protezione giuridica dell'adulto incapace: l'anziano e l'amministrazione di sostegno, in Giur. Merito, fascicolo 12, 2011, p. 2907B.[2] P. VIRGILIO MARONE, Bucoliche, X, 69.

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